26 gennaio 2017, giornata uggiosa, freddo pungente, un’ora di pullman di primo mattino per raggiungere il centro: via G. Ferrari. La giornata non sembra iniziare sotto i migliori auspici, però oggi niente lezione, si va ad incontrare Fabio Geda proprio sotto la mole.
Tutto è iniziato quando la nostra prof. ha iscritto la classe al progetto dal titolo accattivante “Se i personaggi cercan l’autore” all’interno delle attività di alternanza scuola-lavoro. Il primo step prevedeva la lettura dei primi tre volumi della saga “Berlin” di F. Geda e M. Magnone. Secondo step: incontro con l’autore.
Fabio Geda è una vecchia conoscenza del nostro liceo, era già venuto a presentare il più famoso “Nel mare ci sono i coccodrilli” qualche anno fa. È passato del tempo ed in effetti dal 2011 si è appassionato a questo nuovo progetto editoriale che prevede sei volumi di cui tre già editi e un quarto di prossima pubblicazione a marzo 2017.
Ore 9.30: ci ritroviamo in una sala luminosa e caldissima, 80 studenti curiosi e tesi con le nostre domande accuratamente preparate e scritte. Geda arriva come sempre sorridente ed empatico e subito ci spiazza. Parte lui con la prima domanda:
Come mai tutti i romanzi fantasy sono ambientati in America? Perché tutti i supereroi sorvolano i cieli di New York? Immaginate Superman sorvolare i cieli di Parigi? Come mai gli extraterresti atterrano sempre in America? Ve li immaginate nella Selva Nera o fra le nebbie della Valpadana?
Bella domanda: qualcuno non ci aveva mai pensato, qualcuno cerca una risposta.
Tentiamo varie interpretazioni ed è il nostro Francesco che ci va più vicino: il vecchio continente ha già i suoi eroi che appartengono alla tradizione classica; mentre l’America non ha una tradizione epica. Questa è l’epica americana, un’epica moderna che dagli ultimi 50 anni è un’epica distopica, esprime la sfiducia nel futuro dell’umanità moderna e immagina un mondo violento e selvaggio che può essere salvato solo da un eroe dai superpoteri.
Così il ghiaccio è rotto; tocca a noi. Inizia una raffica di domande, su di lui e il suo mestiere, sulla saga.
Il nostro compito all’interno del progetto è quello di creare degli spin-off della trilogia, quindi chiediamo particolari sulla costruzione dei personaggi, sulle tecniche di scrittura, sul rapporto ispirazione-mestiere. Geda è sempre pronto a dare suggerimenti, a svelare qualcosa di sé, a raccontare il suo mestiere di scrittore.
Sfata l’immagine dello scrittore animato dal sacro fuoco dell’ispirazione, che scrive di notte o nel completo isolamento in mezzo alla natura. Il mestiere dello scrittore è come quello del falegname: quando trova il pezzo di legno giusto continua a piallarlo e tagliarlo fino a quando raggiunge la forma che lui aveva in mente. Anche lo scrittore parte da un’idea, ma poi il suo tempo è più impiegato a trovare il modo giusto per realizzare quella idea, ad adattare, limare e modificare ogni frase fino a realizzare quello che aveva in mente. L’ispirazione è un attimo, il resto è mestiere.
Si va avanti fino alle 12.00 e poi il tempo per gli autografi. Gli e-book hanno tolto il piacere della firma dell’autore sulla prima pagina, ma questo è il prezzo che si paga alla modernità; un taccuino va bene lo stesso. Le ultime battute e poi tutti fuori.
Che cosa ci ha lasciato questo incontro? Per qualcuno è stato molto importante: Fabio Geda ha promesso di dedicare un po’ del suo tempo e della sua attenzione a Francesco, uno studente di 3Bs con velleità da scrittore che da qualche anno ormai si dedica a questa arte. E chissà che un giorno
Non riprodurremo l’intervista a Geda perché incentrata su alcuni aspetti specifici della sua trilogia e rischieremmo di togliervi il piacere della lettura abbiamo invece scelto una sintesi che potrebbe invogliarvi ad iniziare la lettura.
Che cosa è per te scrivere?
Scrivere è raccogliere le idee, progettare, leggere e studiare che cosa hanno scritto gli altri, costruire la scena nella propria mente e solo dopo prendere la penna. È più il tempo passato fissando un punto su un muro che scrivendo. Ma quel tempo non è tempo perso, anzi è la fase più importante.
Quando hai capito che saresti diventato scrittore?
In terza liceo al Curie ho partecipato ad un concorso letterario indetto dalla scuola ed ho vinto con un racconto dell’orrore modellato sull’esempio di S. King. A rileggerlo oggi lo trovo orribile, ma allora mi diede notorietà per un giorno. Fu pubblicato nel giornalino d’istituto e tutti ne parlarono. Il mio primo romanzo è stato pubblicato quando avevo 34 anni, cioè quasi 20 anni dopo. Nel frattempo ho fatto altro, ma soprattutto ho cercato di capire che cosa ero chiamato a raccontare. Mi sono chiesto: che cosa sono capace a scrivere? La mia esperienza professionale di educatore mi ha portato ad una particolare sensibilità verso le tematiche sociali.
Come ti è venuto in mente di cimentarti in un genere così diverso con “Berlin”?
Ho riflettuto sul fatto che c’è tanta letteratura fantascientifica in circolazione, ma niente che sia ambientato in Europa, in una realtà più vicina a noi. Ne ho parlato col Marco Magnone che tornava da quattro anni passati in Germania e abbiamo cominciato a pensarci seriamente. Berlino ci è sembrata subito la collocazione ideale. Berlino è una città notturna, invernale, una città che non si ama a prima vista, come potrebbe essere Parigi. Dal 1961 al 1989 è stata divisa da un muro che isolava alcuni quartieri dal resto della città; il suo abbattimento è stato inizio di una rinascita. Insomma questa città ci ha affascinato. L’idea è nata nel 2011, da allora abbiamo fatto ripetuti viaggi per studiare i luoghi in cui avremmo ambientato le nostre storie. È possibile seguire le azioni dei personaggi su una mappa e anche gli edifici descritti sono reali e visitabili. Proprio in questi giorni una scuola media sta svolgendo il suo viaggio d’istruzione proprio sui luoghi di Berlin (come sui luoghi manzoniani ndr)
I protagonisti sono adolescenti in un mondo senza adulti. È un modello già noto. Perché un mondo di adolescenti?
Forse perché la generazione adulta non ha saputo consegnare alle nuove generazioni un mondo migliore, quindi è come se si facesse da parte riconoscendo la sua incapacità, lasciando il testimone a generazioni nuove. A differenza de Il signore delle mosche, classico a cui subito si pensa, qui i ragazzi si dividono in bande ognuna delle quali sceglie un modo diverso per sopravvivere: l’anarchia, il rigore militaresco, la pacifica convivenza, c’è anche una banda di sole donne.
Come è scrivere a quattro mani?
È stata una esperienza nuova e molto positiva. Marco Magnone non aveva mai scritto romanzi (è un saggista) e inizialmente ha lasciato a me il compito di buttare giù la storia. Abbiamo insieme progettato l’intreccio, costruito i personaggi e stabilito i vari momenti. Quindi io ho cominciato a scrivere. Man mano che scrivevo gruppi di capitoli glieli mandavo da leggere e lui li correggeva e li discutevamo insieme. Siamo andati avanti così per i primi due volumi. Per il terzo abbiamo invertito i ruoli: lui scrive e io rivedo. Ci compensiamo abbastanza: a lui piacciono più le scene d’azione, dinamiche, a me le parti più descrittive o intimiste. Credo che questa possa essere una chiave per il successo.
classe 3Bs