La scuola sta cambiando. Ormai sono sempre più numerose le scuole in cui i testi cartacei sono sostituiti da tablet e i professori passano dal classico gesso e lavagna a tecnologiche Lim. Nel corso di questi anni anche il Majorana ha portato dei sostanziali cambiamenti nelle sue classi, fino ad arrivare alla realizzazione dell’aula 3.0.
Questa stanza, posta al primo piano dell’ala sud, è dotata di due lavagne interattive, computer portatili messi a disposizione degli studenti, tablet e infine sedie e banchi girevoli per facilitare i lavori di gruppo tra studenti. L’aula sarà a disposizione di ogni professore che desidera lavorare con la propria classe nel modo più interattivo e tecnologico possibile.
Ma c’è realmente bisogno di investire così tanto nella tecnologia per creare una scuola migliore?
Il popolo scolastico si è sempre diviso in due fazioni su questo quesito. Il primo fronte si dichiara pienamente favorevole ad introdurre nuove tecnologie all’interno della scuola. Secondo loro questo porta solo vantaggi, uno tra i quali quello di riuscire a coinvolgere tutti gli studenti a una nuova forma di didattica per il fatto che sono loro i primi interessati a questa rivoluzione digitale.
L’altra metà si proclama estremamente contraria a questa massiccia introduzione di mezzi tecnologici nella scuola, anzi a questa fase di evoluzione scolastica contrappongono un grosso problema per il quale viene incolpato proprio l’utilizzo eccesivo della tecnologia, cioè i nuovi analfabeti.
Con questo termine molti professori soprattutto universitari denominano i loro studenti. I nuovi analfabeti sono tutte le persone con licenzia media o superiore che agli esami universitari ancora commettono gravi errori di compressione del testo o grammaticali. Tutta la colpa viene data ad internet e alle nuove forme di comunicazione che, secondo molti studiosi contemporanei “uccidono” l’italiano. È innegabile che le nuove tecnologie non aiutano per niente il corretto apprendimento; basti pensare al correttore automatico del computer e al T9 del cellulare che rendono minimo lo sforzo di scrittura e di comunicazione di ogni giorno, portando a un progressivo appiattimento del livello lessicale e grammaticale dei giovani.
È vero che i giovani d’oggi non scrivono come 20 anni fa, ma 20 anni fa i giovani non seguivano le regole grammaticali di 20 prima e questo si ripete all’indietro per generazioni. Questo deve fare capire che tutto è destinato a cambiare, ad evolversi perché è nella natura di qualsiasi essere vivente portare delle mutazioni a se stessi, agli altri e all’ambiente circostante per cercare di sopravvivere, e anche la lingua è destinata a evolversi e modificarsi. Dante, Ariosto e Primo Levi sembrano scrivere in tre lingue diverse, eppure è sempre l’italiano. E la questione vale in tutto il mondo: Shakespeare e Conan Doyle scrivono nella stessa lingua.
Forse i giovani d’oggi commetteranno errori di ortografia, ma compiono cose, grazie alla tecnologia, che venti anni fa ci si sognava di fare, quindi piuttosto che lamentarsi del presente e rimpiangere sempre al passato, bisogna utilizzare queste tecnologie a nostro favore sia dentro che fuori dalle scuole.

Santoni Alessandro

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