Le automobili correvano per quelle strade illuminandole con i loro fari.
Un ragazzo dagli occhi lucidi camminava furtivamente rasentando i muri.
Faceva freddo, tanto da costringerlo a tenere le mani in tasca e nascondere il volto in una sciarpa nera.
Sarebbe stato bello passare quella serata con la sua nuova compagna di classe, pensò il ragazzo. Troppo bello per poter essere vero. Eppure per lei aveva sconfitto la sua timidezza, il suo limite più difficile da superare. Aveva fatto il possibile per farla sentire a proprio agio, pensò con un sorriso amaro. Voleva essere solo suo amico, nulla di più.
Sospirò. Pazienza, sarebbe andata meglio la prossima volta.
Ma i suoi occhi lo tradivano. Non c’era che rassegnazione nel suo volto.
Il ragazzo alzò lo sguardo, si voltò e vide una giovane ragazza camminare verso di lui. Nessuno dei due si fermò. Affrettò il passo come per scacciare un ricordo da dimenticare. Ma pensò ancora a lei, la sua migliore amica, la ragazza con la quale era
riuscito a superare per la prima volta la sua timidezza. Ricordare quella felicità, la fiducia reciproca, le confidenze, le risate, i pianti e tutti i giorni passati insieme lo costrinsero a fermarsi.
Lei aveva chiuso tutti i contatti con lui. Perché? Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato? Non riusciva a trovare una risposta, e in breve tempo tornò ad essere introverso e insicuro.
Volle chiamarla, chiederle scusa, raccontarle della nuova compagna di classe, uscire con lei, tornare ad essere amici. Ma non la chiamò. Non ne ebbe la forza. Così tornò a camminare per la sua strada.
Sarebbe andato volentieri per le luminose vie del centro con la sua nuova compagna di classe, invece procedeva solitario nella buia periferia. Eppure, pensò, le aveva solo chiesto di uscire. Non era nulla di eccessivo o di sgarbato. Ma quella sfuriata gli fece male, anche se sapeva di non meritarsela. Anzi, avrebbe preferito meritare quell’odio piuttosto che subire ingiustamente quelle parole rabbiose.
Avrebbe visto i suoi amici poco dopo, si disse il ragazzo, e magari lo avrebbero ascoltato. Tutte le volte che il gruppo si riuniva lui veniva lasciato ai margini, gli altri parlavano e lui non riusciva ad ascoltare né ad interagire con loro. Ma stavolta, pensò, sarebbe andata diversamente.
Arrivò al cavalcavia, un vecchio ponte completamente buio sotto cui passavano molte macchine a grande velocità. Il ragazzo si sedette su un muretto con le gambe a penzoloni sopra le macchine in movimento. Sospirò. Ma non era un sospiro d’amore, perché non era innamorato, né voleva esserlo. Troppi rischi, pensò. La sua compagna aveva creduto che lui si fosse invaghito di lei, e per questo motivo lo ferì con fiere parole. A quel pensiero pianse, come fece quando sentì quelle parole penetrargli la carne e spezzargli il cuore. Ancora.
Il ragazzo era dall’altrui occhio visto con ribrezzo, ma non era brutto né d’aspetto né d’animo. Era un giovane sempre pronto ad aiutare il prossimo, ma non per questo stimato dal prossimo. Fino a tre mesi prima si sfogava con la sua migliore amica, ma ormai non aveva più nessuno con cui confidarsi. Il suo dolore lo corrodeva, lo rendeva stanco e nervoso. Desiderava ogni giorno di più una persona di cui fidarsi a pieno, qualcuno che lo aiutasse a trovare la felicità perduta.
Ma era stato davvero felice? Sapeva di essere stato meglio prima, ma aveva un ricordo sbiadito delle giornate passate con la sua migliore amica. Come se ricordare consumasse la sua memoria, la privasse del suo dolce gusto. Non voleva dimenticare, ma i ricordi lo facevano soffrire sempre di più. Viveva una vita non sua, fatta di delusioni e critiche che lo laceravano e aumentavano sempre di più il suo desiderio di pace. Pace, amicizia, speranza: ciò che più desiderava, ciò che più vedeva lontano.
Era in anticipo, pensò. Come al solito. Aveva ancora un po’ di tempo per cullarsi nei suoi pensieri.
Non ricordava esattamente le parole pronunciate dalla sua compagna di classe. Era l’intenzione, l’intensità con cui erano pronunciate a fargli male. Ma non doveva abbattersi. No, doveva ricominciare. Da quel giorno tutto sarebbe ricominciato, avrebbe avuto nuovi amici e sarebbe tornato come prima. Era determinato. Aveva ritrovato la speranza.
Sentì i passi dei suoi amici farsi sempre più vicini e leggeri. Si sarebbe voltato e li avrebbe salutati, uno a uno, e avrebbe parlato con loro. Avrebbe superato la sua timidezza. Forse.
Si alzò in piedi e cadde dal cavalcavia, ma non si buttò.

Valerio Giunta

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