Ci sono pagine dolorose nella storia del calcio, episodi che non vorremmo raccontare ma ai quali è doveroso riservare un ricordo. Storie lontane, che la nostra generazione non ha vissuto in prima persona, ma che a sentirle mettono ugualmente i brividi. Come quella del grande Torino. Chiedete ai vostri nonni, leggete su internet o su un libro, provate a domandare ai tifosi del Toro chi era quella squadra, chi perse la vita quella notte.
Era il 4 maggio 1949 quando l’aereo sul quale viaggiava l’intera formazione granata di ritorno da Lisbona, si schiantava contro la collina di Superga nei pressi del capoluogo torinese, non lasciando scampo a nessuno.
“Il Torino non c’è più. Scomparso, bruciato, polverizzato. Una squadra che muore, tutta assieme, al completo, con tutti i titolari, colle sue riserve, col suo massaggiatore, coi suoi tecnici, coi suoi dirigenti, coi suoi commentatori. Come uno di quei plotoni di arditi che, nella guerra, uscivano dalla trincea, coi loro ufficiali, al completo, e non ritornava nessuno, al completo. E’ morto in azione. Tornava da una delle sue solite spedizioni all’estero, dove si era recato in rappresentanza del nome dello sport italiano. Aveva presa la via del cielo per tornare più presto, per far fronte agli impegni di campionato. Un urto terribile, uno schianto – ai piedi di una chiesa, di una basilica addirittura – uno gran fiammata. E poi più nulla. Il silenzio della morte. Era la squadra Campione d’Italia”. Con queste parole Vittorio Pozzo, chiamato all’arduo compito del riconoscimento dei cadaveri, molti dei quali avevano giocato nella sua Nazionale, commentava il tragico accaduto sulle pagine de “La Stampa”.
Il velivolo si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese. Le vittime furono 31.
Alle 14:50 l’aereo decolla da Lisbona con destinazione l’aeroporto di Torino-Aeritalia. Il tempo su Torino quel giorno è pessimo. Tra le ipotesi più accreditate sullo schianto vi sarebbe quella per cui, a causa del forte vento al traverso sinistro, l’aereo nel corso di una virata potrebbe avere subìto una deriva verso destra, spostandolo dall’asse di discesa e allineandolo, invece che con la pista, con la collina di Superga.
Accade tutto alle 17:03: l’aereo con il Grande Torino a bordo, eseguita la virata verso sinistra, messo in volo orizzontale e allineato per prepararsi all’atterraggio, si va invece a schiantare contro il terrapieno posteriore della Basilica di Superga. Il pilota, che credeva di avere la collina di Superga alla sua destra, se la vede invece sbucare davanti all’improvviso (velocità 180 km/h, visibilità 40 metri) e non ha il tempo per fare nulla: non si ravvisano infatti, dalla disposizione dei rottami, tentativi di riattaccata o virata. L’unica parte del velivolo rimasta parzialmente intatta è l’impennaggio. Alla Basilica, invece, nessun danno.
Alle 17:05 Aeritalia Torre chiama l’aereo in cui a bordo c’è il Grande Torino, ma non riceve alcuna risposta. Delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno.
Se siamo qui oltre sessant’anni dopo a raccontarvi del Grande Torino è perché ogni anno la commozione è più forte. L’attaccamento alla maglia dei tifosi granata non è mai stato messo in dubbio, ma negli ultimi anni sta diventando qualcosa di ancora più grande anche grazie alle prestazioni in campo e il sogno di rivivere un’epoca che anche se probabilmente non tornerà più unisce ogni anno un popolo che tramanda di padre in figlio questa leggenda. Perché nessuno scordi le origini, perché nessuno dimentichi quello che una volta era il calcio e perché tutti ricordino la squadra che faceva tremare l’Italia e che se ne andata senza un perché.
Gabriele Basaglia