Operazione Plutonio

Riassunto: Tornato a casa O’Connor riceve inaspettatamente una visita da parte di Kid, depresso per aver sganciato la bomba atomica. O’Connor prova a consolarlo, ma poco dopo arrivano Einstein e Fermi che vogliono parlare delle conseguenze di ciò che è accaduto. I due scienziati propongono di consegnare all’Urss i progetti della bomba in modo da bilancire il mondo per il futuro. In breve si trovano tutti d’accordo.

-A me piace di più il plutonio quindi Operazione Plutonio.
-Professori, dovete proprio discuterne?
-Uffa, una settimana di treno senza fiatare e ora che hai noleggiato questa carretta facci parlare un po’.
-Carry, è inutile. I professori sono fatti così.
O’Connor strinse il volante pregando di arrivare nel più breve tempo possibile. Poco dopo intravide la struttura.
-Eccolo. Da questo momento zitti tutti. Kid e professori: entrate e fate finta di lavorare. Io entro da un altro lato. Ci vediamo dentro.
Entrarono come stabilito. O’Connor camminò per i corridoi. Ricordava bene quel luogo. Dopo oltre due anni dalla prima volta aveva imparato a conoscerlo. Corridoi dritti e funzionali. Si fermò per un minuto ad ammirare la sala delle riunioni. Ricordò la disperazione di Marshall nel cercare di far fare silenzio al gruppo.
-Bei ricordi. Qui ho conosciuto Kid. E dire che la prima volta l’ho guardato malissimo. Chi poteva immaginarlo che un giorno saremo diventati amici. Ora continuiamo.
Incontrò i tre al centralino. Einstein stava facendo perdere tempo agli impiegati con richieste assurde. Li salutò come se non si fossero visti prima e si offrì di risolvere il problema.
-Grande idea.
-Zitto!
-Scusa.
O’Connor dovette tenere a freno l’allegria di Einstein. Fece strada verso l’archivio finché non si fermò bruscamente.
-Andate avanti e scendete la rampa di scale, se vi dicono qualcosa Einstein farà perdere tempo come prima.
-Ma io volevo davvero sapere quelle cose.
-Sarà il momento buono per chiederle, allora. Vi raggiungo subito.
O’Connor si allontanò. Aveva visto una figura a lui familiare camminare in fondo al corridoio. La seguì. Sperava di aver visto giusto. Mise la mano in tasca per assicurarsi di avere la lettera con sé.
-Marshall!
Il generale Marshall ebbe un sussulto e si voltò.
-Signor O’Connor. Come mai da queste parti?
-Viaggio di piacere. Ho pensato di passare a fare un saluto.
-Vuole già viaggiare? Non la ha stancata l’Europa?
-Evidentemente no. Qui mi sono trovato bene e quasi mi dispiace tornare al vecchio lavoro.
-Non è obbligato. Però non credo sia facile abitando a Tacoma.
-Potrei comprare casa qui. Tanto con quello che mi spetta posso permettermi molto.
-Anche un castello direi io. Certo, ci sono ancora delle cose da fare. Se lei volesse saremo ben lieti da averla di nuovo in squadra.
-Cosa dovete fare ancora?
-Dobbiamo studiare i negoziati di pace. Questa volta dovremo fargli passare dalla testa l’idea di combattere.
-Condizioni dure intende?
-Ho paura di sì. Vorrei che ci fosse un’alternativa, ma non la vedo.
-Io credo che ci debba solo pensare un po’ di più. Da tempo porto sempre con me l’ultima lettera di una persona che stimo tantissimo. Vorrei darla a lei perché, ecco, penso che potrà darle ispirazione.
Porse la lettera.
-Ecco, e faccia un piano degno di George Marshall.
-Grazie, signor O’Connor. Arrivederci.
-Arrivederci.
Percorse il corridoio sapendo di aver fatto qualcosa di buono e di aver mantenuto una promessa. Ritrovò Kid e i professori con il fascicolo e li fece uscire come erano entrati. I progetti rimanevano nascosti sotto la maglia di O’Connor. Recuperarono l’auto e si allontanarono.

Si fermarono in una piccola stazione ferroviaria. Nascosero il fascicolo in una valigetta. Fermi guardò la valigetta sorridendo. Si sentì in dovere di ringraziare.
-Grazie, O’Connor. Senza il suo aiuto non avremmo avuto speranze.
-Non devi ringraziarmi. La guerra mi ha tolto la famiglia. So cosa si prova. Ora andate.
Un treno attendeva sul binario. I professori salirono e si affacciarono al finestrino prima della partenza. Lentamente il treno si allontànò, diventando sempre più piccolo e, infine, sparì oltre l’orizzonte. Sulla banchina rimanevano solo O’Connor e Kid.
-Carry. Sei sicuro che abbiamo fatto la cosa giusta.
-Non ti sembra un po’ tardi per chiedertelo?
-No, dico solo: e se poi iniziano a lanciare bombe atomiche da tutte le parti?
-Credo che risolverebbe una vola per tutte il problema del male che affligge questo pianeta. Sterminando l’umanità si risolverebbe il problema alla radice.
-Ma noi non vogliamo che ciò accada? O sì?
-Kid, quanti anni hai?
-Ventuno. Perché?
-Io ne ho quarantasette suonati. Ora, da che stato vieni?
-California.
-Non credo.
-Oklahoma.
-Lo sospettavo. Sei un migrante del Dust Bowl. L’ho capto durante il viaggio verso la USS Columbia. Ma non c’è niente di male in questo. Il mondo è incontrollabile. Noi non dobbiamo fare altro che fare la nostra parte. La storia continuerà anche senza di noi, ma già che ci siamo possiamo scriverne una pagina. E poi, ora sei un agente del Pentagono.
-Caspita, hai ragione. Sei molto intelligente.
-No. Tu sei più intelligente. Io tutto quello che so lo so perché l’ho già visto. Tu invece hai la possibilità di capire cosa hai intorno, come quella volta nel tunnel. Cerca solo di non tenere a freno questo potenziale. Tornerai al Pentagono?
-Penso di sì. Non ho altri posti dove andare.
-Allora credo che verrò anche io. Solo una cosa: vuoi essere tu il caposquadra?
-Io? Ma tu hai più esperienza.
-La mia esperienza funziona solo in cose che ho già visto. Tu vedi molte più vie. Sei più adatto in un mondo incerto come sta per essere il nostro. Non criticherò le tue scelte se è stato tutto calcolato. Tu dovrai solo ascoltarmi quando ricordo qualcosa.
-Non ha senso tutto ciò.
-Io sono stato aiutato dalla Mafia, ho visto un tedesco cercare di far finire la guerra, un pazzo prendere coscienza e la mia Nazione diventare una bestia. Insensato?
-Abbastanza.
-Accetti la sfida?
-Sì.
E rimasero a guardare l’orizzonte.

Fine

Giuliano Giunta

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