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“Ciao, ragazzi.” disse un uomo alzandosi in piedi in Aula Magna. Indossava abiti sportivi e aveva una fascia rossa in testa su cui era impresso il logo della palestra nella quale lavorava. “Sono Pietro, e lavoro per la palestra vicino al centro commerciale. La conoscete tutti, no?”
Annuii, ci ero passato vicino il giorno prima. Gli altri ragazzi rimasero immobili, alcuni chiacchieravano a bassa voce. Erano le 9 ed eravamo ancora assonnati.
“Vi vedo mosci, ragazzi.” disse Pietro mettendo le mani sui fianchi, “Dai, facciamo qualche esercizio insieme. Spostate le sedie.”
Ci guardammo in giro. Era serio o stava scherzando? Si, era serio.
“Ragazzi, fate come dice Pietro.” disse una professoressa al microfono.
Ci alzammo pigramente dalla nostra sedia e spostammo le sedie ai lati dell’aula.
Pietro ci fece fare qualche minuto di riscaldamento facendoci correre fuori, poi ci disse di tornare in Aula Magna e ci diede dei piccoli esercizi da fare a coppie. Li feci con Camilla, una mia compagna di classe, ma nessuno dei due voleva davvero fare attività fisica quel giorno.
“Lui ci deve presentare la sua palestra per l’alternanza.” disse Camilla, “Non poteva venire qualcuno che per mestiere testa i materassi?”
“Va bene, ora mi sembrate molto più carichi.” disse Pietro soddisfatto, “Ora rimettete le sedie a posto e sedetevi.”
Si udì un unico, grande sospiro di sollievo. Pietro sorrise divertito.
“La palestra dove lavoro deve far sentire le persone più giovani di quanto siano realmente. Tutti vogliono sentirsi giovani, no? Per questo non diamo mai del lei alla gente, ma sempre del tu.” spiegò, “Vi propongo una serie di attività per l’alternanza scuola-lavoro. Magari non vi sembreranno molto entusiasmanti, ma parlate con i vostri compagni che l’anno scorso sono venuti da noi a lavorare: si sono divertiti un sacco.”
Pietro ci mostrò un PowerPoint con tutte le attività che avremmo potuto fare in palestra. Purtroppo nulla di ciò che ci propose mi interessava davvero, ma dopotutto non ero costretto ad andarci. Ero invece obbligato a restare lì fino al suono della campanella.
“Io devo combattere la mia pigrizia.” mi disse Camilla sottovoce, “Rimando sempre tutti gli impegni e faccio solo le cose che mi piacciono. So di non poter continuare a lungo così, soprattutto in vista della maturità. Spero che lavorare in palestra mi stimoli ad essere più attiva.”
“È una buona idea.” dissi senza intonazione.
“Lo pensi davvero?” disse con entusiasmo, “Tu non sbagli mai, Settimo. Ho deciso: andrò da loro.”
Camilla non si accorse di aver parlato nell’unico momento di silenzio della presentazione. Molti studenti si girarono verso di lei, mente altri continuarono a mandare messaggi con il loro orologio. Pietro la guardò per qualche secondo con aria seria, poi sorrise. La ragazza arrossì.
“Questo è lo spirito giusto, ragazza.” disse Pietro, “Ti aspettiamo a braccia aperte.”
Lei mi guardò con un sorriso imbarazzato e Pietro riprese la presentazione da dove l’aveva interrotta.
“Ho fatto una figuraccia.” mi disse sottovoce.
“No.” risposi, “Non potevi fare una figura migliore.”

Camminai lentamente per i corridoi della mia scuola. La maggior parte degli studenti andava al bar per parlare o comprare la merenda, ma durante l’intervallo preferivo passare qualche minuto in solitudine, a cullarmi tra i miei pensieri.
Vidi una ragazza seduta in un angolo vicino ad una finestra. Era sola. Stava piangendo. Mi avvicinai.
“Posso aiutarti?” chiesi porgendole la mia mano. Lei abbassò lo sguardo e si alzò.
“Non c’è più.” singhiozzò, “Lui non c’è più.”
Mi strinse in un abbraccio. Cercai di consolarla, le dissi che ero disposto ad aiutarla.
“Il mio ragazzo, Luca, non viene a scuola da settimane.” spiegò cercando di trattenere le lacrime, “Ho provato a chiamarlo, ma non rispondeva. Anche i suoi genitori sono preoccupati, sembra essere scomparso del tutto.”
“Le persone non possono scomparire.” dissi accarezzandole il viso, “Sono certo che tornerà.”
“Anche altre persone sono sparite.” singhiozzò, “La mia migliore amica una settimana fa mi ha chiamata dicendomi di farmi trovare in questo posto durante l’intervallo. Da quel momento non sono più riuscita a contattarla, e ogni giorno vengo qui ad aspettarla.”
“Mi dispiace.” dissi. Ricordai il dialogo tra la preside e Marzio, nel quale il ragazzo aveva accennato ad una misteriosa sparizione degli studenti.
“Ragazzi, non state negli angoli.” ci rimproverò una bidella, “I professori che controllano i corridoi non possono vedervi qui.”
“Non stavamo facendo nulla di male.” dissi.
“Che ne so io.” gridò andandosene, “Ci sono delle regole e loro non le rispettano.”
La osservammo mentre camminava in silenzio, ondeggiando ad ogni passo. Sospirai.
“Grazie per esserti preoccupato per me.” mi disse, “Mi chiamo Anna.”
“Io sono Settimo.” dissi, “Se hai bisogno di me, sono in 5C.”
Anna venne verso di me e mi diede un bacio sulla guancia, poi andò verso la sua classe salutandomi con un piccolo sorriso e il viso rosso per il pianto.
Suonò ancora la campanella, così rientrai in classe.
Passai tre ore a prendere appunti di filosofia e storia. Non mi piaceva studiare Hegel, mentre trovavo molto più interessanti gli argomenti di storia riguardanti le fasi antecedenti alla Prima Guerra Mondiale. Marco seguiva a stento le lezioni, mentre Giovanni e Camilla prendevano appunti a turno: prima uno e poi l’altra. Così, dicevano, potevano riposare la mente un’ora ciascuno.
La quinta ora, invece, ci siamo riposati con il professore di religione. Nella mia classe solo tre persone non facevano quell’ora: Fabrizio, Celeste e Giovanni. Marco mi aiutò a ricordare le loro argomentazioni.
“Io sono ateo.” spiegò Giovanni.
“Ma scherzate? Potete stare un’ora in meno a scuola e preferite restarci?” disse invece Celeste, “Cioè, non ci state con la testa. Io qua non ci sto, me ne vado da Fabrizio.”
“Ragazzi, resterei volentieri qua, ma Celeste vuole passare un po’ più di tempo con me. Non posso mica dirle di no.” spiegò Fabrizio.
Celeste e Fabrizio passavano le ore in classe a scompigliarsi i capelli a vicenda, a parlare e a mandare messaggi con l’orologio. Prendevano appunti solo durante l’ora di arte. Fabrizio diceva che era l’unica materia che gli piaceva, Celeste invece perché, a detta sua, era una ragazza studiosa e diligente.
“Ma la media più alta che hai è 7, ed è il comportamento!” commentò un giorno Roberta, un’altra ragazza della mia classe.
“Non sono io ad essere scarsa, sono i prof che non mi capiscono.” si giustificò lei.
Roberta e Camilla erano due amiche che studiavano insieme dalle elementari. Entrambe passavano interi pomeriggi a studiare e realizzare mappe concettuali, e i professori le premiavano con voti molto alti.
“Ma tu avevi i voti più alti di tutta la classe, Settimo.” mi disse Camilla durante l’ora di religione, “Prendevi 9 e 10 di quasi tutte le materie.”
“L’unica materia in cui avevi 8 era disegno tecnico.” disse Roberta, “Solo in quella materia ci davi la soddisfazione di superarti.”
C’erano altri tre ragazzi nella mia classe: Alberto, Flavio e Martino.
Alberto riusciva a riassumere un’ora di lezione in uno schema chiaro e preciso. Condivideva con la classe tutte le sue conoscenze, ma solo se qualcuno gliele chiedeva. Era timido e aveva sempre timore di disturbare gli altri.
Flavio era il ragazzo più carismatico della classe, ma i suoi voti raggiungevano a stento la sufficienza. Ogni giorno lo vedevo nei corridoi con una ragazza diversa e, mi disse in un intervallo, alcune di esse non erano iscritte nella nostra scuola.
“Vengono da altre scuole per ammirare il mio fascino.” spiegò.
Vestiva sempre abiti griffati e aveva un grande ciuffo nero che cadeva in avanti.
Martino, invece, era anonimo nella nostra classe.
“Più di me?” chiesi a Marco.
“Diciamo che tu almeno avevi dei voti alti.” spiegò Marco, “Lui ha delle qualità, ma non eccelle in nulla.”
“Quando non ha voglia di venire a scuola resta a casa.” disse Roberta sistemando i suoi lunghi capelli rossi in una coda.
“Parla raramente in classe.” sospirò Camilla, “Non ha nessun amico qui.”
“E passa le lezioni a guardare l’orologio.” mi disse Marco, “Non so di preciso cosa ci faccia.”
“Provate a parlare con lui.” propose il professore di religione, “Potreste scoprire cose che non immaginate.”
Annuii. L’avrei fatto di certo.

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