“Sei bellissima.”
“Lo pensi sul serio?” disse timidamente Elisa.
“Lo penso con il cuore.” dissi dandole un bacio sulle labbra.
Lei indossava un vestito nero elegante. I suoi lunghi capelli le cadevano oltre le spalle, e i suoi occhi brillavano come diamanti.
Eravamo ad una festa organizzata dalla nostra scuola, e con noi tanti altri studenti del Liceo e del Tecnico. I rappresentanti d’Istituto avevano organizzato l’evento con Wayne, il quale aveva sostenuto che senza il suo aiuto la festa sarebbe stata un fiasco colossale.
“Quattro incompetenti che pretendono di avere sempre ragione, incapaci di prendere una singola decisione da soli.” disse a Marzio all’ingresso, “Hanno vanificato tutto il mio lavoro.”
Wayne indossava la giacca nera dell’Onu e aveva i capelli neri sparati in aria. Parlava con chiunque, era a suo agio nella sua vecchia scuola.
“Wayne, ti trovo in gran forma.” gli disse Alan senza scomporsi, “Non ti vedevo così da anni.”
“Ti ricordi l’ultima festa d’Istituto che ho organizzato, Alan?” disse Wayne sorridendo, “Questa andrà ancora meglio, te lo assicuro.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire.” annuì Alan, “Mi raccomando, stai all’erta.”
“Alan, è una festa. Rilassati.” rispose Wayne.
“Sai bene perché siamo dovuti tornare.” lo rimproverò Bianca.
“Va bene, resteremo in comunicazione per risolvere ogni problema.” concluse, “Ma cerchiamo di divertirci.”
Elena e Marzio si erano seduti vicino a me ed Elisa. I rappresentanti d’Istituto avevano messo lungo i corridoi dei tavoli, le casse per la musica e dei proiettori. Sui tavoli c’erano dei tranci di pizza e molte bibite.
Tutti avevano iniziato a mangiare.
“Hanno organizzato tutto nei minimi dettagli.” osservò Marzio, “Ci farei un articolo.”
“Una festa bellissima, ed è appena cominciata!” esclamò Elena, “Non vedo l’ora che parta la musica.”
Mi sembrava di essere stato una festa simile, ma non riuscivo a dare una forma definita a quel ricordo. Mi voltai verso Elisa. Mi sorrise.
“Anche i professori si stanno divertendo.” disse prendendo un trancio di pizza margherita.
“Il professore di matematica, invece, sta in un angolo a guardare.” osservai.
“Non ragioniam di loro.” dissero Alan e Bianca venendo verso di noi, “Ma guarda e passa.”
“Maestro.” disse Marzio rivolgendosi ad Alan, “Come state?”
“Tutto bene.” disse alzando la testa. Notai che aveva delle cicatrici verticali sul collo.
“Hai visto com’è cambiata la scuola in due anni? Che te ne pare?” chiese Elena.
“È tornata indietro.” disse Alan scuotendo la testa, “Ci dovremo lavorare su.”
“Questa scuola si finge nuova, ma è vecchia. È sempre stata vecchia e continuerà ad essere tale.” disse Bianca scandendo lentamente le parole, “Fino a quando il vecchiume non se ne andrà per sempre.”
“Dubito che accadrà.” disse Elisa, “La scuola è troppo radicata nel passato.”
“Hai notato quanta tecnologia c’è in giro? Orologi ovunque. Li ho progettati con l’Ingegnere tempo fa, e ora li usano tutti gli studenti dell’Istituto.” disse Alan, “Eppure, la loro realizzazione venne criticata aspramente dal collegio docenti. Mi dissero che avrei dovuto studiare anziché creare qualcosa di inutile come l’orologio. Dopo averlo provato, però, mi dimenticarono. L’Ingegnere si prese tutti i meriti, mentre io divenni un fantasma. Un nome. Dopotutto, tutta questa tecnologia ci sta rendendo sempre meno umani.”
“In che senso?” chiese Elena confusa.
“L’uomo pensa sempre meno alla natura. È buffo, ma non conosciamo più il significato di essere umano. Siamo diventati dati, numeri, sequenze di codice. Viviamo immersi in attività inventate da noi stessi.” spiegò Alan prendendo un bicchiere e versando dell’acqua.
“È vero.” ammisi, “La nostra vita è determinata dalla nostra società, vale a dire da noi stessi.”
“Vedo che hai compreso.” disse Alan sorseggiando il suo bicchiere d’acqua.
“È una bella frase, Settimo.” osservò Bianca, “Dimmi un po’, sei un lettore?”
“Sì, leggiamo sempre insieme.” disse Elisa sorridendo.
“Bene.” sorrise Alan, “Dopo la festa riceverai sul tuo orologio un file. È il mio primo libro. Dovrai leggerlo con lei.”
“Va bene.” annuii.
In quel momento udimmo della musica provenire dalle casse. Marzio ed Elena andarono al secondo piano per ballare, mentre io ed Elisa camminammo per i corridoi non utilizzati per la festa. La quiete di quei momenti non era assolutamente comparabile con la confusione degli intervalli.
“Scusa, non me la sento di ballare ora.” disse Elisa sottovoce, “Tra un po’ torniamo, va bene?”
“Certo, nessun problema.” annuii aggiustandomi la camicia, “Dopotutto, nemmeno io ho tanta voglia di ballare.”
“Non ballavi mai alle feste d’Istituto.” mi disse, “Te ne stavi in disparte con una ragazza. Ora lei è al quarto anno di studi, non so se siete ancora amici.”
“Come si chiamava?” chiesi.
“Eris.”
Rimasi in silenzio per qualche istante. “No, non ricordo chi sia.”
“Non è più tornata da te?”
“No.”
“Allora non ti considera più un suo amico.” concluse.
Mi voltai per tornare indietro.
“Che succede?” chiese Elisa girandosi.
“Non siamo soli.” pronunciai a bassa voce.
Teschio era appoggiato alla porta della vicepresidenza. Davanti a lui c’erano tre ragazzi, i quali avevano dei vestiti strappati. Una sacca contenente bombolette spray e alcuni attrezzi era adagiata ai loro piedi.
“Ci sono domande?” chiese Teschio.
“No.” disse uno dei ragazzi scuotendo la testa, “Tutto chiaro.”
“Ricordate, dovrà essere ricordata come la peggior festa della storia del nostro Istituto.” ringhiò Teschio, “Devono parlarne tutti, porca miseria.”
“Chiaro.” annuirono.
“Io vado, ho da fare.” concluse incrociando le braccia, “Il Re vi osserva, non dimenticatelo.”
Teschio toccò un bottone dell’orologio e scomparve. Chiamai Wayne.
“Wayne, sono Settimo.” dissi con voce sommessa, “Vieni subito in vicepresidenza.”
“Che succede?” mi chiese, “È una cosa seria? Sai, qua ci sono delle belle ragazze e non vorrei privarle della mia compagnia.”
Un ragazzo impugnò un coltello. “Non c’è tempo per le spiegazioni.” dissi, “La faccenda è seria. Guarda.”
Puntai l’orologio verso il trio. “Arrivo.” sospirò Wayne chiudendo la chiamata.
“Ehi!” gridò uno dei ragazzi, “Che ci fate qui?”
“Che ci fate voi qui?” chiesi incrociando le braccia.
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.” disse il giovane con il coltello, “Scommetto che avete sentito tutto.”
“Andiamo via.” sussurrò Elisa al mio orecchio.
“Torna da Marzio ed Elena.” le risposi guardandola negli occhi, “Mi occuperò io di loro.”
Lei annuì e corse via. I ragazzi fecero un passo verso di me.
“Sei solo, non puoi nulla contro di noi.”
“Nessuno può intromettersi negli affari dell’URSS.”
“Sei finito.”
Il ragazzo con il coltello tentò di tirarmi un pugno. Mi posizionai al suo fianco, afferrai il suo braccio e misi la mia gamba destra dietro al suo ginocchio. Lo spinsi all’indietro, facendolo cadere a terra.
Un altro cercò di colpirmi. Parai il suo colpo. Cercò di tirarmi un calcio, ma riuscii ad afferrare la sua gamba e fargli perdere l’equilibrio.
Il terzo indietreggiò. “Io vado a portare a termine la missione.”
“Non andrai da nessuna parte.” disse Wayne toccando un bottone dell’orologio.
I tre ragazzi si irrigidirono e rimasero immobili. Wayne impiegò un software simile a quello che avevo utilizzato qualche tempo prima.
“È stato facile.” disse Bianca camminando verso di me.
“Senza l’orologio e il software da me programmato sarebbe stato molto più difficile.” disse Alan.
“Quelli non avevano buone intenzioni, li conosco.” disse Wayne, “Anni fa rovinarono la mia festa d’Istituto, e l’avrebbero fatto di nuovo.”
“Scusatemi, ma devo andare.” dissi ricordandomi di Elisa.
Corsi verso il corridoio adibito a discoteca. Elisa mi stava aspettando appoggiata ad un muro. La guardai negli occhi e mi abbracciò.
Vidi delle ragazze agitare i loro corpi sui vestiti sudati dei ragazzi. La musica era assordante, l’odore di alcool e fumo era talmente intenso da provocarmi una smorfia di disgusto.
“Andiamo fuori?” ci chiese Marzio.
Mi voltai nuovamente. Una di quelle ragazze era la stessa che passava davanti al bar letterario con un ragazzo sempre diverso.
“Andiamo.” dissi prendendo Elisa per mano.