“Una piadina e una bottiglietta d’acqua naturale.”
“Come hai detto che la vuoi, l’acqua?” chiese il barista.
“Naturale.”
“Come al solito.” commentò sorridendo.
Mi voltai. Il bar era praticamente vuoto, c’erano solo Marzio e altri due ragazzi. Questi ultimi avevano un abbigliamento davvero bizzarro: il ragazzo aveva una giacca nera che toccava terra, jeans blu scuro, un paio di occhiali tondi e una collana raffigurante un piccolo ingranaggio; la ragazza aveva la stessa giacca ma ricoperta di post-it, anch’essi neri, pantaloni e maglia bianchi e un cappello elegante nero.
“Pare che si preferiscano le notizie ai racconti, in questa scuola.” disse il ragazzo alla ragazza.
“È vecchia.” commentò lei, “Vuole apparire tecnologica e avanzata, ma la mentalità resta invariata.”
“Eppure sono proprio le narrazioni ad insegnare.” continuò lui, “La letteratura deve insegnare, ma senza diventare necessariamente cronaca. I nostri scritti non hanno alcun vincolo o limite, e fuori da queste mura hanno insegnato alle persone ad uscire dalle loro gabbie.”
“Il linguaggio deve essere semplice.” disse la ragazza, “Solo così i ragazzi di questa scuola si interesseranno alla lettura.”
“Secondo me bisogna riempire le parole di significato, usarle come tramite e non come portatori di un messaggio univoco.” rispose il ragazzo.
“Sono gusti.” sorrise lei.
“De gustibus non disputandum est, amica mia.”
“Ecco a te la piadina e la tua acqua frizzante.” mi disse il barista.
Mi voltai verso di lui e presi il tutto, nonostante avessi chiesto dell’acqua naturale.
“Andiamo, Bianca?” chiese il ragazzo alzandosi in piedi.
“Certo, Alan. Dobbiamo arrivare in orario.” annuì Bianca.
I due ragazzi uscirono dal bar. Notai che davanti ad Alan volteggiava un piccolo drone su cui era posizionato un leggio.
“Dovremmo andare anche noi, Settimo.” disse Marzio, “Il dibattito partirà tra poco.”
Lo seguii fuori dal bar addentando la mia piadina. Notai che i due ragazzi erano scomparsi. “Prenderemo parte al dibattito?” chiesi
“No, ci limiteremo a prendere appunti.” rispose, “Tu parli di quello che è successo e io faccio il commento.”
“Va bene.” annuii. Iniziammo a salire le scale.
“Davide e Pi non ci saranno.” disse scuotendo il capo, “Al loro posto ci saranno tre rappresentanti delle due fazioni.”
“Come siamo arrivati a dividere la scuola in due parti?” chiesi.
“Non lo so. È per questo che siamo qui.”
Entrammo in Aula Magna. Le sedie erano state spostate ai lati, dietro a dei grossi banchi in legno, e formavano una gigantesca curva blu.
La dirigente sedeva al centro, gli studenti ai lati, lontani da lei. Sei ragazzi erano in piedi, ognuno davanti ad un leggio. Tre da una parte e tre dall’altra.
“Sediamoci.” disse Marzio mettendosi in disparte. Lo seguii.
“Alla mia sinistra siedono i membri dell’Unione Studenti Anarchici, mentre a destra quelli dell’Unione Ritrovatori Studenti Scomparsi.” spiegò la vicepreside alzandosi in piedi.
“Dobbiamo discutere sulla vostra serietà.” disse la dirigente, “Infatti, ci sono molti studenti che hanno commesso infrazioni del regolamento scolastico usando i nomi dell’USA e dell’URSS.”
“Chiunque usi in maniera impropria il nome dell’URSS non può ritenersi parte della nostra comunità.” disse Roberta, schierata dalla parte dell’URSS con Marco e un’altra ragazza.
“Quali sono queste infrazioni?” chiese un ragazzo dell’USA aggiustandosi gli occhiali neri.
“Molti ragazzi sono stati fuori classe durante l’orario di lezione con vaghe motivazioni, spesso riferendosi alla propria fazione.” disse la vicepreside, “Anche se trovo improprio parlare di fazione.”
“C’è dell’altro?” chiese Marco.
“Alcuni sono stati beccati mentre mandavano messaggi con l’orologio durante lezioni e verifiche.” disse la dirigente, “Per le stesse motivazioni.”
“Ci dissociamo.” dissero tutti e sei i ragazzi.
“E come dobbiamo fare, allora?” chiese la dirigente appoggiando i gomiti sul banco.
“Non è un mio problema.” disse un ragazzo aggiustandosi l’abito elegante dell’USA.
“Ma ti pare una risposta da dare?” disse la ragazza alla sua sinistra dandogli uno schiaffo, “Che figura ci fai fare?”
“Insomma, che ne possiamo noi dei comportamenti degli studenti? Io faccio il mio, tu fai il tuo. Perché devo essere responsabile delle tue azioni?” rispose il ragazzo.
“Propongo di intervenire sui singoli.” disse la ragazza dell’URSS. Roberta e Marco annuirono.
“E come dovremmo intervenire?” chiese la vicepreside.
Ci fu silenzio, poi la ragazza dell’USA disse: “Fate come avete sempre fatto.”
“Non sono casi isolati, ragazzi.” disse la dirigente, “Abbiamo già il problema degli studenti scomparsi da gestire, dateci una mano.”
“Non avete più la forza di un tempo, eh?” disse una voce femminile.
Ci guardammo intorno. “Chi è?”, “Chi ha parlato?”, “Hai sentito anche tu?” riecheggiarono nell’aria.
“Quella voce.” disse la vicepreside scuotendo il capo, “Di nuovo.”
“Il passato torna sempre, professoressa.” disse un ragazzo entrando nell’aula.
Con lui entrarono altri quattro ragazzi. C’erano anche Alan e Bianca, e tutti indossavano la stessa giacca nera.
“Chi si rivede!” disse la professoressa di inglese alzandosi in piedi, “Ragazzi, come state?”
“Alla grande, prof.” disse Alan, “Ci siamo tutti, stavolta.”
Dietro di loro comparve l’Ingegnere. Egli camminò verso una sedia, si sedette e guardò l’orologio. “Dunque, pronunciatevi.” disse.
Gli studenti guardavano i nuovi arrivati con aria sconvolta.
“Dai vostri volti deduco che non ci avete riconosciuti. Eppure abbiamo studiato e dato tanto all’Istituto.” disse un ragazzo, “Io sono Ettore, fondatore dell’Organizzazione Nuovi Universitari, anche chiamata ONU.”
“Io sono Bianca.” disse la ragazza, “Scrivevo per il giornale d’Istituto quando era ancora cartaceo.”
“Purtroppo ce lo ricordiamo.” disse la vicepreside alzando gli occhi verso il soffitto.
“Chiamatemi Alan.” disse il ragazzo con un piccolo inchino, “Avete tutti un orologio al polso. Bene, sono contento. Li ho progettati per finire le ore di alternanza scuola-lavoro.”
“Ha fatto un sacco di cose.” mi disse Marzio sottovoce, “È stato direttore del giornale online d’Istituto prima di me. Insomma, è il mio maestro.”
“Io sono Wayne.” disse un altro, “Sono stato rappresentante d’Istituto, e ho molto a cuore questa scuola. Quest’aula mi porta alla mente tanti ricordi, è bellissimo.”
“Io sono Carlo.” disse l’ultimo, “Suonavo nella band della scuola ed ero il capo della squadra di matematica. Sono uscito l’anno scorso, ora studio nella città dentro la città.”
“Delle classi il fiore, per parlar breve.” sorrise l’Ingegnere.
“A cosa dobbiamo la vostra presenza?” chiese la vicepreside.
“L’Ingegnere ci ha chiamati per risolvere i problemi della scuola.” disse Ettore, “Alan, procedi con le spiegazioni.”
“Onorato.” annuì Alan, “Siamo stati informati della sparizione improvvisa degli studenti all’interno dell’Istituto. Inoltre, due congregazioni di studenti chiamate USA e URSS stanno dividendo gli studenti, seppure i loro obiettivi appaiano entrambi validi.”
“Abolire il sistema di voti ti sembra ragionevole? Pensa prima di parlare, Alan.” disse la vicepreside.
“Non mi faccia questo torto, illustre.” pronunciò Alan guardandola negli occhi, “Lei osserva l’iceberg dall’alto, senza vedere ciò che è immerso nell’acqua.”
“Non stiamo parlando di questo, prof.” disse Wayne, “La scuola è divisa, e nella sua stessa divisione sono presenti alunni che si fanno gli affari propri.”
“Il bene comune ne risente.” sospirò Bianca guardando la professoressa di inglese, “Ce l’hai insegnato tu.”
“È vero, quando abbiamo fatto Dante in terza.” disse la professoressa, “Vi do ragione.”
“Luce che vetro tocca sé riproduce.” disse l’Ingegnere.
“E cosa volete fare per risolvere il problema?” chiese la dirigente.
“Renderemo gli studenti più uniti.” disse Carlo, “Come ha fatto la nostra prof di inglese.”
“Lei ha trovato il bene in tutti noi.” disse Bianca.
“I più vedevano spine, lei vedeva rose.” pronunciò Alan, “Restituiremo il favore.”
“Sono contenta di sentirvelo dire.” disse la professoressa con un grande sorriso.
“Ingegnere, possiamo fidarci?” chiese la vicepreside.
“Essi son del bene colmi.” rispose l’Ingegnere, “Come Plotino l’Uno intendeva, così loro vedo.”
“Mi sembra di capire che sia questa la soluzione migliore.” disse Roberta.
“Fate come volete.” commentò un ragazzo dell’USA.
“Va bene, vi lasciamo campo libero. Potete andare, il dibattito è chiuso.” sentenziò la preside.
Uscirono tutti rapidamente, tranne i ragazzi dell’ONU. Osservai Bianca e Alan, il quale staccò un post-it dalla giacca della ragazza.
“Continua ad odiarmi.” disse Bianca sottovoce, “Hai visto come mi ha guardata?”
Alan spezzò in due il post-it nero. “Non importa cosa pensano gli altri di te.” disse, “Sei unica, e ti apprezzo per quello che sei. Siamo amici, no? È questo ciò che conta.”
“Forza, andiamo.” mi disse Marzio dandomi una pacca sulla spalla, “Dobbiamo fare l’articolo.”