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Secondo Periodo. Pentamestre. I cinque lunghi mesi più bui per uno studente. Soprattutto per quelli di quinta.
Percepivo la tensione per l’esame di maturità dai gesti dei miei compagni, dai loro volti, dalla loro improvvisa voglia di prendere appunti e studiare tutto il giorno.
“Ti rendi conto, Settimo?” mi disse Marco il primo giorno di scuola dopo le vacanze, “Dovremo stare sei ore a scrivere un tema. Sei ore! Io a malapena riesco a seguire una lezione di un’ora, figuriamoci stare attento per così tanto tempo.”
Io non ero molto preoccupato. Dopotutto, avrei dovuto dimostrare di aver capito gli argomenti del triennio. Non doveva essere così difficile.
“Per te è facile, sei un genio.” mi disse Flavio, “Io sono andato avanti solo grazie ai bigliettini. Per me non c’è speranza.”
“Ce la puoi fare, ne sono certo.” gli risposi, “Non arrenderti mai.”
Flavio non era molto convinto, ma in quei giorni si impegnò molto e riuscì a capire tutte le lezioni in classe.
Fu il periodo delle mappe concettuali, alcune di esse distribuite in formato digitale dall’Orologeria 2.0, e degli appunti. Le verifiche, rigorosamente cartacee, e le interrogazioni erano all’ordine del giorno, ma riuscimmo a seguire il ritmo senza troppe difficoltà. Ci eravamo adattati all’ambiente.
Tutti tranne Fabrizio.
“Celeste non viene a scuola da una settimana.” ci disse durante un’ora buca, “Non riesco a concentrarmi.”
“Ti aiutiamo noi.” disse Camilla, “Io, Roberta e Settimo ti possiamo spiegare gli argomenti che non capisci, Alberto ti può fornire tutti gli appunti di cui hai bisogno e Marco può aiutarti a mantenere la concentrazione durante le lezioni.”
“Grazie.” sorrise Fabrizio, “Siete una classe fantastica.”
“Siamo.” lo corressi, “Siamo una squadra.”
“Io potrei trovarti un’altra ragazza, dato che Celeste è scomparsa.” disse Flavio ridendo.
Fabrizio rimase in silenzio un istante. “Non riesco più a contattarla. Non capisco cosa le sia successo.”
“Chiodo scaccia chiodo, Fabri. Ti potrei presentare ad una di terza che ho conosciuto in discoteca, alla festa d’Istituto.” continuò Flavio.
“Parlando seriamente.” lo interruppi, “Hai notato qualcosa di strano in lei?”
“Indossava degli strani occhiali neri.” disse Fabrizio aggrottando la fronte, “Mi aveva detto che era la nuova moda della città, chi non li aveva era terribilmente out. In effetti ho visto dei ragazzi che indossavano questi occhiali nei corridoi della scuola.”
“Temo che ci sia un nesso tra Celeste e l’USA.” disse Pi incrociando le braccia, “Ho scoperto che Davide li costringe ad indossare abiti eleganti e occhiali neri.”
“La mia ragazza è anarchica?” disse Fabrizio sbalordito, “Non vorrei dubitare delle sue capacità intellettive, ma non credo che lei sia in grado di prendere posizioni politiche. Mi ha sempre detto che l’ambito politico le faceva venire il mal di testa.”
“Che sia stato Lui?” si chiese Pi.
“Lui chi?” chiese Roberta.
“Devo indagare.” disse Pi uscendo dalla classe.
“Aspetta.” dissi inseguendolo, ma egli scomparve una volta uscito dalla porta.

Era l’ultimo sabato del mese di gennaio. Dopo aver fatto due ore di educazione fisica salii al secondo piano e andai in bagno.
Camminai davanti ai lavandini con passo stanco, girai a destra e vidi due ragazzi, uno indossava gli occhiali neri dell’USA. Mi fermai e mi nascosi dietro alla porta. Guardai l’orologio e toccai un bottone.
“Fanno 20.” disse il ragazzo con gli occhiali neri.
“Piglia.” disse l’altro allungandogli una banconota, “Mi raccomando, salutami il re.”
“Spiritoso.” gracchiò, poi prese due sigarette. “Te la fumi una siga? Offro io.”
“Ci sta, tanto i prof mica ci sono ora.” rispose il ragazzo prendendo un accendino e iniziando a fumare.
Dovevo aspettare. L’orologio non era ancora pronto. Purtroppo, però, i due si accorsero della mia presenza.
“Che ti guardi?” disse quello con gli occhiali neri sputando per terra.
“Sarai mica uno di quei comunisti dell’URSS, o sbaglio?” disse l’altro con tono arrogante.
Mi staccai dalla porta e mi avvicinai a loro. Ci fu un secondo di silenzio, poi guardai l’orologio.
“Non dovresti essere in classe?” chiese il ragazzo con gli occhiali.
“Fratello, questo ci stava spiando, te lo dico io.” disse l’altro, “Per me lavora coi prof.”
“Devo solo andare in bagno.” dissi camminando verso le porte del bagno. Il ragazzo con gli occhiali mi fermò.
“’Sta scusa è buona solo con gli stupidi e i professori.” disse, “Ti sembro forse un professore o uno stupido?”
“Facciamogli capire chi comanda.” disse il ragazzo senza occhiali prendendo in mano la sigaretta e avvicinandola al mio volto.
“Potrai anche non essere stupido.” dissi toccando un bottone dell’orologio, “Di certo non sei più furbo di me.”
In una frazione di secondo i due ragazzi caddero a terra. Spensi le loro sigarette e attesi l’arrivo di un professore.
Avevo di recente installato sul mio orologio un’applicazione dell’Orologeria 2.0 che permetteva di avvisare il professore più vicino che stava avvenendo un’infrazione del regolamento scolastico. Purtroppo il software impiegava molto tempo ad elaborare i dati, ma il professore aveva la possibilità di addormentare per qualche minuto coloro che erano stati, in un certo senso, denunciati.
Il professore arrivò con tre bidelli. Presero in braccio i due ragazzi e uscirono senza dire una parola. Feci una smorfia di disapprovazione.
Notai, uscendo dal bagno, che i vetri sopra i lavandini erano rotti. In quello centrale vi erano tre crepe verticali e sotto vi era scritto “Chi vede non parla, chi parla non vede. Gli Artigli del Consenso porteranno il Suo ordine nella scuola del passato.”
Un altro ricordo. Ero al bar della scuola in compagnia di una ragazza. Stavamo parlando con l’Ingegnere.
“Tempo è luogo o astrazione?” disse, “Dietro la conoscenza, dentro l’emozione, davanti la volontà. Dove l’occhio tuo vive?”
“Dentro.” risposi, “Vivo il presente.”
La ragazza si voltò verso un gruppo di ragazzi. Mi lasciò la mano.
“Colui che rimpiange indietro veglia.” disse l’Ingegnere scuotendo la testa, “Chi in sé vive è del giro fulcro, ma non parte. Porre sé all’infinito è suicidio.”
“Non capisco.” dissi scuotendo nervosamente la testa, “Cosa vuol dire?”
“Del consenso l’artiglio hai traccia. Libera l’animo tuo.” rispose.
“Ti ho detto che non capisco.” dissi innervosito, “Come te lo devo dire?”
Dissi qualcos’altro, ma non ricordavo nulla oltre questo. Quella ragazza l’avevo già vista. Ma chi era? Eravamo amici o passava semplicemente da quelle parti?
Accarezzai le crepe sul vetro. “Sono stati rotti di recente.” constatai, anche se non ne ero certo, “Ma non ho sentito nessuno.”
Mi girai e vidi Camilla nel bagno delle donne. Si stava guardando allo specchio. Il suo sguardo era fisso, immobile, mentre il suo corpo tremava. Pianse silenziosa, poi si accorse di me e si nascose. Voleva stare da sola con il suo dolore, pensai.
“Ci sono tre tipi di persone in questa scuola, Settimo.”
“Quali, Pi?” chiesi.
“Ci sono quelli che lottano per il proprio futuro, consapevoli che l’istruzione che ricevono qua sarà di grande aiuto una volta terminato il quinto anno.” rispose aggiustandosi il cappello, “Poi quelli che vanno avanti senza convinzione, viaggiando sul filo del rasoio. Infine ci sono ragazzi che restano fermi a osservare la sabbia cadere nella clessidra.”
“E tu a quale categoria appartieni?” chiesi guardandolo negli occhi.
“Alla quarta.” disse con un mezzo sorriso, “E tu?”
“Alla prima.” risposi.
“Non vorresti distinguerti da loro?”
“Cosa intendi?” chiesi guardandomi attorno.
“Hai tante possibili scelte quante le cifre del pi greco.” disse incrociando le braccia al petto, “Perché percorri vie già conosciute e non provi ad uscire dagli schemi, evadere ed essere un’eccellenza?”
“Non è questo ciò che chiede la scuola.” risposi, “Devo conoscere ciò che mi viene insegnato e ragionare con i mezzi che gli insegnanti mi forniscono.”
“Tu hai un potenziale immenso, Settimo.” disse, “Sai chi aveva le tue stesse capacità? Beh, non puoi ricordartelo. Non ancora.”
“Cosa sai del mio passato, Pi?”
“È un luogo dove non devi tornare.” rispose congedandosi, “Vuoi usare le informazioni che ti da la scuola? Bene. Carpe diem, Settimo. L’ha detto Orazio.”

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