“Dove… dove cavolo mi trovo?”
Mi alzai lentamente. Il cielo era plumbeo, così come i palazzi. Mi specchiai in una pozzanghera e vidi un ragazzo dai capelli corti e biondi, il viso pallido e gli occhi piccoli e grigi. Era quello il mio volto? Non ricordavo niente. Mi guardai intorno ma non vidi altro che palazzi e strade vuote. Ero solo.
“Magari ho qualcosa che può aiutarmi a ricordare.” pensai. Frugai nelle tasche della giacca, ma non trovai nulla. Incrociai le braccia e sbuffai spazientito, quando mi accorsi che avevo un orologio al polso. Non era un comune orologio, infatti oltre a segnare l’ora e il giorno mostrava anche il numero 200. Perché proprio quel numero? Non capivo nulla. Mi calmai e cercai di ragionare. Erano le 8 in punto ed ero solo in mezzo alla strada. Iniziai a camminare verso l’ignoto.
“Non so neanche il mio nome.” borbottai, “Non riesco a ricordare nulla.”
C’era un cartello, indicava una scuola. Non c’era nessuno nei dintorni, così decisi di entrare nell’edificio. Varcata la porta mi guardai attorno, ma non vidi nessuno. Aspettai.
“Buongiorno ragazzi.”
“Buongiorno prof.”
“Ti vuoi alzare?”
Aprii lentamente gli occhi. Ero dentro un’aula con altre nove persone. L’insegnante mi guardava severo.
“Stavi dormendo?” mi chiese stizzito, “Oh, ho forse svegliato il principe dal suo nobile sonno? Sei in quinta, ragazzo, non all’asilo.”
“Scusi.” balbettai, “Non sto capendo nulla.”
“Mi chiedo come tu possa seguire una lezione di matematica da ubriaco.” commentò il professore.
“Non ho bevuto.” risposi, ma l’insegnante non mi ascoltò. Egli si voltò, si sedette alla cattedra e iniziò a fare l’appello.
Sentii i nomi dei miei compagni, ma non riuscivo a dare un volto ad essi. Ero uno studente, probabilmente di un liceo, ma non ricordavo altro. Mi accorsi di non avere un compagno di banco. Decisi di aspettare l’intervallo per parlare con i miei compagni, così non avrei fatto nessun torto al professore.
“Mi scusi.” disse una bidella irrompendo nell’aula, “C’è una circolare per i ragazzi.”
“Va bene.” sbuffò il professore prendendo il foglio in mano, “Potreste anche bussare prima di entrare, stavo facendo lezione.”
La bidella uscì senza rispondere, e ciò fece innervosire il professore. Doveva essere un uomo facilmente irritabile, avrei fatto bene a tenerlo a mente.
“Allora, la circolare dice che dovete finire entro quest’anno le 200 ore di alternanza scuola-lavoro, altrimenti non sarete ammessi all’esame di maturità. Per maggiori informazioni…” disse il professore, poi si arrestò e sorrise, “Che pagliacciata. Sarebbe molto più utile aumentare le ore di studio anziché costringere i ragazzi a fare questa alternanza. Beh, torniamo alla nostra lezione sulle derivate.”
Duecento ore di… cosa? Alternanza scuola-lavoro? Non avevo la più pallida idea di cosa volesse dire. Guardai istintivamente l’orologio e vidi di nuovo quel numero. 200. Dovevano essere collegati in qualche modo.
Un ragazzo venne vicino a me e si sedette. Non lo conoscevo, o meglio, non ricordavo di conoscerlo. Era un ragazzo magro e basso con i capelli sparati in aria neri. Egli prese dallo zaino un voluminoso quaderno ad anelli ed estrasse con scarsa cura un foglio a quadretti, dove iniziò a prendere appunti.
“Che hai combinato ieri sera?” mi chiese sottovoce, “Non ti ho mai visto così.”
“Non ricordo davvero niente.” spiegai, “Mi diresti il mio nome?”
“Settimo.” disse, “Io invece sono Marco.”
Settimo. Che razza di nome è? Pensai che mi stesse prendendo in giro, ma la faccia di Marco era troppo seria. Annuii.
“Cerco di portarti di nuovo su questo mondo.” disse con un mezzo sorriso, “Siamo in quinta, e oggi è il 20 settembre. Tu in quattro anni non hai mai esagerato se non nello studio. Dico sul serio, eri un genio in tutte le materie.”
“Non male.” commentai sottovoce.
“Già, e come tutti noi non hai fatto neanche un’ora di alternanza scuola-lavoro. Ma ti conosco e so che le finirai in men che non si dica.” disse dandomi una pacca sulla spalla.
“Lo spero.” dissi senza troppa convinzione, “Cos’altro sai su di me?”
“Settimo, ma non ricordi proprio niente?”
“Non mi credi?”
“Certo che ti credo.” rispose, “Ma trovo difficile capire come mai tu abbia perso la memoria. Non è una cosa che succede tutti i giorni, non a questi livelli.”
“Me ne rendo conto, ma ho bisogno di aiuto per ricordare.”
“Beh, potresti chiede a…”
“A chi?” chiesi incuriosito.
“No, meglio di no.” disse scuotendo debolmente il capo.
“Avanti, Marco.” gli dissi sottovoce, “Cerca di aiutarmi.”
“Tu sei abbastanza anonimo in questa classe, ma forse c’è qualcuno al bar della scuola che potrebbe darti qualche informazione in più.”
“Come si chiama?”
“Non lo so. Ma lo riconoscerai subito.”
“Fate silenzio, voi due!” gridò il professore, “Se non vi interessa la mia lezione potete anche andare a farvi un giro. Io l’esame di maturità l’ho già passato, non ho bisogno di ripassare queste cose. Siete voi che dovete imparare, non io.”
In quello stesso momento suonò la campanella. “È l’intervallo.” mi disse Marco uscendo dall’aula.
Quei corridoi non mi dicevano niente. Sedie sparse, studenti e professori che chiacchieravano, i fidanzatini che si baciavano dimenticandosi del mondo. Non potevo certo fermare uno a caso e chiedergli: “Scusa, sai dirmi chi sono?” Perciò mi diressi al bar, come mi aveva consigliato Marco.
“Una pizzetta.”, “Una bottiglietta d’acqua naturale, grazie.”, “Me lo fai un caffé?” si udivano confusi. Iniziai a cercare, ma non sapevo davvero chi stavo cercando. Lui, invece, si.
“È la mia persona quella che tu vai cercando?” Mi chiese una voce maschile. Mi voltai.
Era un ragazzo alto e magro dai capelli corti e lisci. I suoi occhi erano neri; ma ciò che mi colpì maggiormente fu il suo abbigliamento: era elegante e completamente vestito di nero, inoltre indossava un bizzarro orologio con il quadrante a forma di ingranaggio, il quale girava su sé stesso ogni secondo.
“Chi sei?” chiesi.
“Son troppo giovane per meritare la terza persona?” disse socchiudendo gli occhi, “Mai il nome mio la gente canta; sovente mi appellano Ingegnere, per mestiere o per rispetto.”
“Bene, Ingegnere.” annuii, “Cosa sai su di me?”
“Conoscere è il disio tuo, ma soddisfarlo io non posso.” rispose chinando il capo, “Ma se conoscerti davvero vorrai, le ore dell’alternanza esaurir dovrai.”
Parlava in modo bizzarro, come se provenisse da un’epoca passata. Doveva essere un eccentrico, pensai.
“Mi puoi almeno spiegare cos’è questa alternanza?” chiesi incrociando le braccia.
“Tradizione era sui banchi studiare, e l’alternanza ciò completa: scolastica e lavoro si intrecciano e si susseguono, generando una ancor più ampia formativa offerta. Ogni porzione di cielo dal Sol solcata sarà dall’orologio segnata, e il 200 zero diverrà.” disse guardando l’orologio, “Biblioteche, laboratori, conferenze e molte altre attività far dovrai, per il futuro tuo molti lavori provar potrai.”
“Capisco.” dissi con un cenno del capo, “Quindi l’alternanza mi dirà anche chi ero.”
L’Ingegnere annuì. “Purtroppo.”
“Come?” chiesi sorpreso.
“Il suono delle parole mie sarebbe oscuro, perciò lo riserverò al poi.”
“Non che tu sia stato molto chiaro.” commentai.
“Di voler ricordare il passato tuo sei certo?”
“Ovvio, che domande!” risposi.
“Per l’amaro dolce molto lottar dovrai.” disse chiudendo gli occhi e chinando il capo. Improvvisamente suonò la campanella per annunciare la fine dell’intervallo.
“Devo tornare in classe. Grazie per l’aiuto.” dissi congedandomi.
“Grazie a te.” bisbigliò.